La prima galleria del Museo Diocesano di Brescia accoglie il visitatore all’interno di un viaggio nelle epoche del Seicento e del Settecento bresciano. La strettezza del corridoio risalta l’altezza delle opere, che sono tutte pale d’altare provenienti dalle chiese della città, in particolare San Giuseppe e San Giorgio. Una eccezione è una pala di Sante Cattaneo (1739-1819) proveniente dalla chiesa dei Disciplini di Borno. Altra esclusività è la presenza di alcune statue lignee del Seicento che spezzano il mono-tema della galleria. Imponente fra tutte è il San Michele Arcangelo di produzione messicana. La prima tela sulla destra è una Madonna col Bambino di Giovanni Battista Pittoni (1686-1767), campione del barocchetto veneziano. L’opera spicca per i colori intensi e pastosi, per le pose eleganti dei personaggi e per il loro atteggiamento pietistico. Quasi dirimpetto a quest’opera stanno due tele di Andrea Celesti (1632-1712): una Madonna col Bambino e i Santi Giacomo, Benedetto e Anna e la Visione di Santa Rosa da Lima. Andrea Celesti, veneziano al pari del Pittoni, è esponente di una corrente artistica assai diversa: il tenebrismo. Con questo termine si intende uno stile usato pittorico del Seicento caratterizzato dall’uso di contrasti chiaroscurali molto forti. Nelle sue opere, specialmente la Visione di Santa Rosa, Celesti combina il tenebrismo con la luminosità degli stili del Veronese e del Tintoretto, presenti nelle chiese della sua città. Procedendo nella Galleria del Seicento e Settecento, ci si trova davanti ad opere realizzate da pennelli squisitamente bresciani. Tra queste troviamo ben tre opere di Francesco Savanni (1724-1772), pittore molto talentuoso ma che, secondo la tradizione, morì nell’estrema miseria. Di tutte queste la più elegante, nonostante la drammaticità del momento, è il Compianto di Cristo tra la Vergine e i Santi Giovanni, Maria Maddalena e Carlo Borromeo. La tela costituisce una delle tre varianti di Savanni sul tema del Compianto di Cristo, conservate in varie chiese della provincia di Brescia. Risalta per l’atmosfera crepuscolare, la calibrazione dei colori e la figura monumentale della Vergine in muta contemplazione del mistero della morte del Figlio. Altre due tele, dirimpetto l’una all’altra, spiccano per la monumentalità del loro formato orizzontale: Rachele al Pozzo e il Passaggio del Mar Rosso, provenienti dalla chiesa di San Giuseppe. La prima è attribuita al pittore vicentino Giovanni Antonio de’ Pieri (1671-1751) e raffigura il momento in cui Giacobbe incontra sua cugina Rachele al pozzo di Sichem. Si tratta di un’altra illuminante opera del barocchetto veneziano, con colori forti calibrati al chiaroscuro per modellare i corpi. Non mancano alcuni riferimenti all’epoca del pittore, come i calzoni di Giacobbe (rappresentato di spalle) pensati per calare gli spettatori dell’epoca nell’atmosfera del dipinto. La seconda tela, il Passaggio del Mar Rosso, raffigura il momento in cui le acque del Mar Rosso si chiudono sull’esercito egiziano, su comando di Mosè. Viene attribuito ad un anonimo pittore di scuola veneta. È curioso come il pittore imposti la scena posizionando Mosè in secondo piano, quasi in penombra, e in primo piano, ben illuminate, un gruppo di donne ebree. Ciò nonostante, la drammaticità è qualitativamente inferiore e disomogenea al brano dirimpetto. Soprattutto la parte con gli egiziani in mare, dipinta con colori tenui, si caratterizza per un decorativismo assai scarso e quasi monocromo. Dalla chiesa di San Giorgio arrivano tre tele su due episodi della vita del santo realizzati entro la fine del Seicento. Sono disposte alla fine della Galleria del Seicento e Settecento, nella stessa posizione in cui si trovavano nell’abside della chiesa. La pala centrale presenta il Martirio di San Giorgio raffigurato dal pennello di Bernardino Gandino (1589-1651), figlio del più talentuoso Antonio Gandino. Si vede in primo piano il cavaliere cristiano appeso alla ruota a testa in giù in una veduta di piazza di matrice veneto-veneziana. La tavolozza dei colori risulta invece più smorzata, per accentuare il patetismo dei personaggi ma anche della scena stessa. Pompeo Ghitti (1631-1704) affronta lo stesso tema nella tela a destra. Riempie però la scena con molti più personaggi e li delinea con una luce fredda che risalta la monumentalità dei loro corpi. La tela a sinistra, sempre di Pompeo Ghitti, raffigura invece il momento iconico in cui San Giorgio uccide il drago e libera la principessa. Protagonista assoluto è il movimento, impresso nel cavallo che si abbatte sul mostro e nella principessa che fugge verso lo sfondo ma ancora si volta per vedere il cavaliere. Allo stesso modo che nel Martirio, il pittore si serve della luce fredda e smorzata per esaltare questa dinamicità, assieme alla classicità dei corpi.

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