Le Sale III e IV espongono alcuni esempi di ritratti di santi a mezzo busto, in atteggiamento ieratico o coinvolti in alcuni episodi della loro vita. Sono riconoscibili per gli attributi iconografici a loro assegnati dal Concilio di Trento, che vedeva nelle immagini sacre un veicolo per la conoscenza dei Vangeli e delle vite dei santi. Di ieratica purezza è il San Giovanni Evangelista di Michele Desoubleay (1601-1676), esposto nella prima sala. Dipinto a mezzo busto, il santo brandisce un calice dal quale spunta un piccolo serpente che simboleggia il veleno. È un’iconografia particolare che si allaccia al vangelo apocrifo Atti di Giovanni. Lì si narra infatti che l’apostolo fu costretto dall’imperatore Domiziano a bere una coppa di veleno, ma Giovanni superò la prova indenne. Un altro di questi ritratti di santi è il San Bartolomeo di Luigi Reali (1602-1660). La sua firma compare in cifra sulla lama del coltello col quale il santo fu scuoiato vivo. Rispetto a San Giovanni, questo apostolo trasmette un’aria più sofferta e terrena, grazie all’uso approfondito del chiaroscuro che ne risalta la fisicità. Dolce ma mondana è invece il ritratto di Maria Maddalena dipinto da un artista ignoto del Seicento che riprese il modello da un omonimo soggetto di Carlo Dolci (1616-1687). La Maddalena qui raffigurata spicca per le vesti eleganti e lo sguardo sostenuto verso l’osservatore. Con una mano indica il cielo e con l’altra stringe al petto il vaso d’unguento col quale unse il capo di Cristo, come per invitarci alla conversione. La tela I Santi Giacomo della Marca e Francesco Solano è un esempio di ritratto di santi di carattere più narrativo, che simbolico. È opera di Giuseppe Tortelli (1662-1738) che raffigura i due santi mentre evangelizzano i popoli delle Indie. Per questo motivo i due francescani furono canonizzati nel 1726. Nella quarta sala sono conservate due copie da due modelli particolari: la Madonna del gatto di Federico Barocci (1535-1612) e la Madonna dell’uva di Pierre Mignard (1612-1692). Entrambe si rifanno fedelmente ai soggetti originali, benché la copia dall’opera di Barocci denoti una gamma cromatica molto ridotta. Due eccezioni molto particolari sono due tele in formato orizzontale della quarta sala. Sono entrambe di soggetto biblico: la Giuditta e Oloferne di Agostino Salloni e la Prova di Mosè di Andrea Celesti. La prima opera proviene dalla chiesa di San Giorgio e racconta uno degli episodi del canone biblico più raffigurati nel Seicento. Si distingue per l’atmosfera oscura che risalta la drammaticità del momento. Viene però considerata una copia di scarso livello da un modello di Pietro Ricchi, detto il Lucchese. La seconda tela traspone invece un episodio della vita di Mosè tratto da un testo ebraico medievale. Lì si narra infatti che il piccolo Mosè rischiò di morire per mano del Faraone perché gli aveva calpestato la corona. Andrea Celesti raffigura proprio quel momento. Il Faraone, a destra, sta per levare la spada contro il piccolo, ma la principessa sua figlia, opposta a lui, cerca di impedirglielo. Rispetto alle altre tele del Celesti conservate nel Museo Diocesano di Brescia, questa si distingue per i colori, ben lontani dal tenebrismo veneziano che contraddistingue i suoi capolavori.

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