La Sala V del Museo Diocesano di Brescia espone alcune stupende testimonianze dell’arte bresciana del Settecento. Sono tutti episodi sulla vita di Cristo narrata nei Vangeli, salvo uno che è desunto dalla tradizione religiosa. Si tratta della Morte di Sant’Anna dipinta nel 1740 da Francesco Monti (1685-1768). Si raffigura il momento della morte di Anna, madre della Vergine, benedetta da Gesù Bambino e assistita dagli altri personaggi. Francesco Monti calibra la drammaticità del momento con il taglio diagonale del corpo della moribonda e la distribuzione dei colori caldi e freddi. L’atmosfera pietistica della tela è un omaggio allo stile di Giovanni Battista Pittoni. Accanto alla Morte di Sant’Anna si trova la Resurrezione di Lazzaro di Antonio Balestra (1666-1470) proveniente da Paderno Franciacorta. Al contrario del Monti, Balestra imposta la scena con un taglio più ravvicinato e curiosamente relegando il protagonista principale, Cristo, nel margine destro. Al centro spicca il corpo di Lazzaro che riprende vita, perfettamente modellato secondo gli stilemi dell’arte romana di Guercino e Sebastiano Ricci. La calibrazione dei colori di stampo veneziano arricchisce la preziosità della materia. Dirimpetto alla Resurrezione di Lazzaro si trova un episodio opposto per significato, la Deposizione di Cristo di Agostino Salloni. Il modello e la gamma cromatica scura e tagliente sono presi pari passo da un omonimo soggetto di Jacopo Bassano (1515-1592). La luce fredda e livida dello sfondo, che fa risaltare il monte del Calvario, accentua la drammaticità del momento. Sempre alla vita di Cristo narrata nei Vangeli si ispirano le sculture in legno di questa sala: tre altorilievi di Rizzardo Carboni (1684-1754) e una minuscola rappresentazione delle Nozze di Cana. I tre altorilievi rappresentano l’Adorazione dei pastori, l’Adorazione dei Magi e la Deposizione dalla croce. In queste scene si intravede l’evoluzione dello stile di Rizzardo Carboni verso il barocchetto, tipico delle opere da lui realizzate negli anni venti del Settecento. Le Nozze di Cana sono invece opera di Giovanni Giuseppe Picini (1661-1725), nato nella Val di Scalve ma attivo anche nella locale Valcamonica. Poco si sa di questo minuscolo artefatto, che probabilmente doveva far parte di una costruzione lignea più imponente. Il suo alto livello di precisione e realismo testimonia la capacità tecnica e artistica degli scultori in legno delle valli bresciane e bergamasche. Giovanni Giuseppe Picini descrive i personaggi in ogni singolo dettaglio, dalle chiome ai tratti del viso e fino ai panneggi di ogni parte delle vesti. Lo scultore non si spreca nemmeno a modellare i corpi con mano ferma in pose eleganti e leggere che lo accomunano all’arte della famiglia bergamasca dei Fantoni.

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