Cristo cade sotto il peso della croce
Autore: Alessandro Bonvicino, detto il Moretto Affresco staccato - 296,5 x 470 cm Provenienza: Pinacoteca Tosio Martinengo -
In origine ubicato nella Chiesa di San Giuseppe a Brescia, l’affresco decorava l’arco d’ingresso che sovrasta la cappella concessa, dai frati dell’osservanza, a Mattia Ugoni, che aveva partecipato con generosità alla fondazione della chiesa, la cui posa della prima pietra risale al 4 ottobre 1519.
La prima menzione del dipinto è da far risalire a Francesco Paglia: prendendo in esame gli affreschi della navata centrale e quelli nelle mezzelune delle navate laterali, con L’orazione del Cristo nell’orto e Cristo sotto il peso della croce, li attribuisce a Stefano Rizzi, maestro del Romanino, tesi sostenuta anche da Giovanni Battista Carboni.
È invece Francesco Maccarinelli a proporre come autore dell’opera proprio Romanino.
A causa della polvere depositatasi sul “cristallo” messo a protezione dell’affresco, i commentatori lamentarono la difficile lettura dell’opera, la cui attribuzione continua ad oscillare tra Rizzi e Romanino per la prima metà dell’Ottocento.
In forma ancora dubitativa, il nome del Moretto, e il conseguente valore dell’affresco, si trovano scritti, nel 1869, in un documento redatto per inventariare le opere d’arte contenute in San Giuseppe, dopo che il convento era stato acquistato dal demanio e il culto chiuso.
I dipinti, ad eccezione dell’affresco con Il Cristo che cade sotto il peso della croce, arrivarono tutti nella galleria Tosio.
È Gustavo Frizzoni, nel 1875, con il suo contributo critico ben articolato, ad attribuire al Moretto la paternità dell’opera.
Nel 1904 l’affresco giunge alla Pinacoteca Martinengo, operazione che è da inserirsi nei progetti avviati per unificare le due gallerie, Tosio e Martinengo, e che comprendevano una campagna fotografica, affidata alla ditta Fototecnica di G. Grandoni.
Fu così pubblicata per la prima volta la fotografia del Cristo che cade sotto il peso della croce, con la didascalia che ne attribuiva la realizzazione a Moretto.
Questa fotografia evidenziava un intervento “interpretativo” sul volto di Cristo, la compromissione dello stato di conservazione della superficie e vaste stuccature.
È con l’ultimo restauro che l’affresco ha recuperato la preziosità del colore, permettendo una migliore lettura dei piani in successione del paesaggio.
Osservandolo da una prospettiva ravvicinata è possibile apprezzare l’impatto visivo creato dalla croce, con il braccio più lungo che fuoriesce dall’arco della lunetta.
Si tratta di un’opera dalla forte carica emotiva, che emerge dal volto sofferente di Cristo, piegato sotto il peso della croce.
A partire da Bernard Berenson, la letteratura artistica novecentesca mantiene l’attribuzione a Moretto, fino ai dubbi emersi da Gaetano Panazza, che evidenzia il bianco argenteo della tunica quale elemento romaniniano, dubbi sottolineati anche dall’esclusione dell’opera dal catalogo del Moretto realizzato da Pier Virgilio Begni Redona.
Evidenziando la profonda carica devozionale dell’affresco, e gli accenni stilistici che si rifanno alle forme del Bramantino e all’eredità di Foppa, sono Alessandro Ballarin, Giovanni Agosti e Carlo Sani a collocare la datazione dell’opera tra il 1521 e il 1522, poco dopo l’apertura della chiesa di San Giuseppe al culto.