Visione di san Pietro a Giaffa
Autore: Tommaso Bona e Pietro Marone Olio su tela - 387,5 x 238 cm Provenienza: Pinacoteca Tosio Martinengo -
L’opera in questione è tra i quattro dipinti superstiti di un ciclo, in origine di sette tele, realizzato a partire dal 1581, da Pietro Marone e Tommaso Bona, per il soffitto della cattedrale di San Pietro de Dom, perduta chiesa paleocristiana presente in Piazza del Duomo.
Le tele, che avevano come soggetto le Storie della vita di san Pietro, rimasero in loco soltanto per una trentina d’anni. A determinare il trasferimento nel Palazzo della Loggia, fu la demolizione del vecchio edificio, iniziata nel 1604.
Nella nuova sede li vide Francesco Paglia che ne tracciò i soggetti, tra cui la Visione di San Pietro.
Nel 1808 i dipinti risultano all’interno degli elenchi relativi alle spoliazioni napoleoniche: da quel momento le vicende delle sette tele si differenziano, con la conseguente perdita di tre di esse.
Nel 1853 Federico Odorici osservava che le tele conservate precedentemente nel Palazzo, erano state spostate presso il palazzo Tosi, all’epoca sede della Pinacoteca.
La Visione di san Pietro a Giaffa riprende un episodio estrapolato dagli Atti degli Apostoli (10, 9-16) in cui Pietro, rapito in estasi, è preda di una visione di una tovaglia sovrastata da ogni genere di animale e viene invitato da una voce a cibarsene.
Questa scena viene interpretata come la volontà di Dio di annunciare e divulgare il Vangelo senza distinzione di popolo.
L’ambientazione è all’aperto, entro uno scorcio che vede stagliata sul cielo chiaro la figura di san Pietro, addormentato su una balaustra, e la tovaglia colma, sorretta da due angeli.
Il confronto con l’affresco, raffigurante lo stesso soggetto, realizzato da Marone nell’ex monastero di San’Eufemia a Brescia, e la visione ravvicinata del dipinto, portano ad accettare l’attribuzione a Bona solo in parte e mettono in luce la collaborazione stretta con il più giovane Marone, a cui si attribuisce la realizzazione della parte superiore dell’opera (vedasi la figura dell’angelo di destra con il capo biondo riccioluto).
Sempre a Marone vanno ricondotte alcune sgrammaticature anatomiche, che difficilmente si possono attribuire a Bona, e l’accostamento di colori come il verde muschio e il rosa, che il pittore utilizza anche in opere più tarde.
A Bona si assegna la stupenda figura addormentata di san Pietro, che riflette echi della pittura di Moretto, soprattutto nella fisionomia e nella quasi letterale citazione delle vigorose membra del santo, desunta dalle ante d’organo oggi conservate nella Sala XXII del Museo.