Il riallestimento dell’Ultima cena di Franca Ghitti

Dal 20 dicembre 2022, l’Ultima Cena (2010), considerato il suo capolavoro più maturo, troverà una nuova collocazione all’interno del percorso espositivo del museo, studiata in collaborazione con Maria Luisa Ardizzone, presidente della Fondazione Archivio Franca Ghitti, per consentire ai visitatori una sua più agevole fruizione.

L’opera sarà allestita nella sala antistante il refettorio monumentale, andando così a dialogare con l’affresco seicentesco conservato nello spazio, raffigurante proprio una ultima cena.

L’Ultima Cena riprende un dipinto del 1963 in cui aveva raffigurato il Cenacolo e lo rielabora alla luce delle sue ultime ricerche spaziali, inglobandolo in una installazione.

 

Per dare forma a un austero rito conviviale, Franca Ghitti raccoglie e organizza, in un ordine geometricamente calcolato, elementi e materiali diversi, come scarti della lavorazione del ferro, rete metallica, frammenti di carbone, coppelle in ferro contenenti granaglie varie, pagine e libri chiodati, sbarre, lance, ritagli e polvere di ferro, che segnalano drammaticamente il presagio e i simboli della passione.

Una serie di pani rotondi, posati ai piedi dell’altare o tra le sbarre di ferro che sostengono il dipinto, le 12 posate dei convitati perfettamente allineate, a fronte dell’immagine effigiata 50 anni prima, sono tutte presenze evocative e modi che a distanza di millenni ricostruiscono un evento che appartiene profondamente alla nostra cultura.

 

Al di là delle innovazioni formali come l’intrecciarsi di pittura e scultura, dell’uso di materiali extrartistici tipico del concettuale, l’Ultima cena è una straordinaria invenzione iconografica. Per la prima volta, nella millenaria storia del soggetto, il tema del lavoro artigianale entra nella rappresentazione del Cenacolo. A completare la tavola, infatti, il pane del Panificio Lazzaroni del Sindacato Panificatori aderente ad Associazione Artigiani di Brescia e Provincia: il Sindacato si occuperà, in virtù di un accordo stilato con il Museo Diocesano, di garantirne sempre la produzione, identificando il pane come elemento integrante dell’opera.

Al contempo, le tazze evocano il banchetto eucaristico, ma anche le fucine dei fabbri ferrai, i metalli liquefatti e incandescenti raccolti dopo la fusione.

Le aste acuminate sul retro delle pale, inoltre, suggeriscono un’idea di aggressività. Al giovedì della cena segue il venerdì di Passione e l’opera allude anche alle violenze della storia: ai processi ingiusti, alla sopraffazione del più forte, agli assassini dell’innocente e del vinto.

L’Ultima cena evoca, anche, un congedo. Nel 2010, quando realizza l’opera, Franca Ghitti sta lottando contro un male che avrà ragione di lei e un sentimento di addio, un saluto accorato ed estremo s’insinua silenziosamente nella composizione, che resta uno dei suoi ultimi lavori.

 

Note biografiche

 

Franca Ghitti (1932-2012) nasce a Erbanno (BS) in Val Camonica. Studia all’Accademia di Brera a Milano, frequenta a Parigi l’Académie de la Grande Chaumière, a Salisburgo il corso di incisione diretto da Oskar Kokoschka.

Realizza negli anni Sessanta le prime sculture in legno (Vicinie, Rogazioni, Litanie) proponendosi di definire fin da allora un’immagine dello spazio che abbia anche una dimensione del tempo e della storia. Recupera legni usurati, avanzi di segheria, chiodi, per evocare la presenza di una cultura intessuta di elementi costanti e ripetuti: è già un lavoro di mappatura antropologica.

Dal 1969 al 1971 vive e lavora in Kenya, dove realizza, per incarico del Ministero degli Esteri, le grandi vetrate legate in cemento della Chiesa degli Italiani a Nairobi. I viaggi e i contatti con molte culture tribali le chiariscono il valore dei codici formali come sedimenti, “altri alfabeti” lasciati dalle comunità e dalle strutture sociali. Rientrata in Italia, lavora il legno e il ferro, rivisitando linguaggi ormai emarginati, legati alle vecchie tradizioni di lavoro nei boschi e nelle fucine. Sue mostre sono presentate in importanti sedi a Mantova, Torino, Milano, Heidelberg, fino alla grande antologica di Palazzo Braschi a Roma nel 1988.

Già dagli anni Settanta la scultura di Franca Ghitti, che ha preso le mosse delle strutture fondanti le architetture rustiche (corde annodate, tacche sulle cortecce, allineamenti e incastri di legni e pietre), dialoga direttamente, in grandi installazioni, con le tecniche modulari e le architetture contemporanee.

Tra i vari interventi pubblici, l’idea di una scultura creatrice di luoghi di riflessione e identificazione collettiva si esprime in una grande installazione in rapporto con lo spazio urbano e in grandi installazioni in ferro per varie sedi, in Italia e all’estero.

Nel primo decennio degli anni 2000, Franca Ghitti consolida la propria fama internazionale con personali a New York, Monaco di Baviera, Bilbao, Parigi.

 

All’Antico Oratorio della
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All’Antico Oratorio della Passione della Basilica di S. Ambrogio di Milano nel mese di aprile 2011 presenta l’Ultima Cena, già esposta nell’antica chiesa di Eribanno, Val Camonica. La stessa installazione, in versione modificata rispetto alla precedente, viene presentata al Museo Diocesano di Brescia (maggio-luglio 2011) e alla Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei a Milano (2014).

Franca Ghitti muore l’8 aprile, giorno di Pasqua, del 2012, lascia un’opera ingente e in parte sconosciuta. Una serie di iniziative si avviano dopo la sua morte per lo studio e conservazione, catalogazione della sua opera. Nel 2013 è nata la Fondazione “Archivio Franca Ghitti”.

Si sono occupati del suo lavoro personaggi della cultura e della letteratura, tra cui Vanni Scheiwiller, Vittorio Sereni, Roberto Sanesi, Italo Calvino, Maria Corti, Mary de Rachewiltz, John Freccero, Franco Loi, nonché storici dell’arte e critici tra i quali: Giulio Carlo Argan, Carlo Belli, Carlo Bertelli, Rossana Bossaglia, Enrico Crispolti, Cecilia De Carli, Elda Fezzi, Ivan Karp, Fausto Lorenzi, Giuseppe Marchiori, Margaret Morton, William Klein, Bruno Passamani, Elena Pontiggia, Walter Schoenenberger.

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