Salita al Calvario
Autore: Bernardino Licinio Olio su tela - 85 x 106 cm
La tela del Museo Diocesano di Brescia si presenta in discrete condizioni conservative. Da un’osservazione diretta, si deduce che l’opera sia stata oggetto durante il secolo scorso di almeno un intervento di restauro, del quale tuttavia non è giunta alcuna notizia documentaria. Il restauro si è concentrato sul risanamento delle numerose lacune, procedendo con un’integrazione che utilizzava i colori di quelle aree della pittura. Le perdite di colore interessavano principalmente la parte inferiore della tela, la più degradata, come il terreno al di sotto del braccio della croce, la sommità del montante della stessa, il profilo della gamba sinistra e vari punti nella tunica dello sgherro con la fune. Altre lacune erano presenti anche al centro della composizione poco al di sopra delle teste delle figure in primo piano e più in alto in corrispondenza della linea di giunzione delle due porzioni di tela che compongono il supporto. Per la perdita più vistosa, che riguardava parte del manto blu della Vergine, si è intervenuto tramite una stesura a tratteggio verticale, che riducesse il disturbo visivo con colori intonati alle cromie circostanti. La tela è stata inoltre sottoposta a una pulitura superficiale, di cui si è voluto mantenere memoria nel paesaggio montano sulla sinistra. L’opera raffigura l’episodio, presente nei Vangeli (Mt 27,31-34; Mc 15,20-23; Lc 23,26-33; Gv 19,17-18), della salita di Cristo al Calvario.
La scena principale si svolge decentrata sulla sinistra, dove Cristo, vestito con un’ampia tunica rossa riccamente panneggiata e con la testa cinta da una vistosa corona di spine, è caduto sotto il peso della croce. Ai suoi lati, due aguzzini lo obbligano a rimettersi in piedi, uno tirandolo per il collo con una fune, l’altro premendogli il ginocchio sulla schiena lo afferra per la spalla; intanto altre due figure si apprestano a risollevare la croce: quello a sinistra è identificabile come uno sgherro dall’arma che porta legata alla vita, mentre nell’altro si può forse riconoscere Simone di Cirene. Nello spazio sulla destra compaiono le pie donne con i volti affranti dalla disperazione, che si stringono attorno alla Vergine la quale, appena svenuta, reclina il capo leggermente di lato. Tra queste si erge la Veronica che con un passo si protende verso Cristo in un atteggiamento dolente, con le braccia allargate e il velo bianco tenuto stretto nella mano destra. In secondo piano un’animata schiera di cavalieri e soldati procede in direzione del Golgota, senza preoccuparsi del dramma che si sta compiendo accanto a loro: ricchi nobiluomini discutono gesticolando sui loro destrieri dalle preziose bardature, fanti armati di alabarda parlottano tra loro, cavalieri si affrettano lungo la strada sventolando voluminose bandiere con battente a due punte o suonando le trombe.
Sullo sfondo si innalza il monte Calvario, i cui versanti coperti di vegetazione lasciano intravvedere il sentiero che serpeggiando conduce alla cima, mentre ancora più lontano, all’estrema sinistra, appare uno scorcio di città. La tela, esposta dal 2007 al Museo Diocesano di Brescia, era stata trasferita dalla cattedrale di Santa Maria Assunta, dove prendeva posto nell’atrio antistante la Sala Capitolare. Precedentemente il dipinto era visibile sulla parete destra del coro del Duomo Vecchio (Morassi 1939, p. 182), collocazione che si presume abbia mantenuto almeno fino al 1975, quando ancora ne viene confermata la presenza (Vertova 1975, p. 414). Il primo studioso a ricordare questa tela all’interno del Duomo Vecchio e a conferirne la paternità a Bernardino Licinio fu Bernard Berenson, che nel 1894 la registrò nel novero delle opere dell’artista di origini bergamasche (p. 110), affermazione ribadita anche in seguito (1936, p. 242). Più cauta risulta invece l’attribuzione data in occasione dell’Esposizione di Brescia del 1904, quando il dipinto fu esposto per la Mostra di arte sacra (p. 30) come opera di scuola veneta e venne datato genericamente al XVI secolo. Solo nel 1928 Adolfo Venturi (p. 481) riprendeva la proposta di identificare con Bernardino Licinio l’autore della tela, identificazione che fu accettata anche da Antonio Morassi (1939, pp. 182-183). Da tale attribuzione si discostava invece Camillo Boselli (1947, p. 92), che preferiva assegnare l’opera a un seguace di Romanino, proponendo cautamente il nome di Paolo da Caylina il Giovane.
Infine, Luisa Vertova (1975, p. 414, n. 20), nel suo approfondito studio sul Licinio, riassegnava a questi l’appartenenza del dipinto, ipotizzando la sua realizzazione come pannello centrale della predella che, a detta della studiosa, originariamente sarebbe appartenuta al Trittico della Resurrezione, eseguito per l’altare maggiore del Duomo di Lonato (Brescia) e oggi custodito nella sacrestia (Vertova 1975, p. 421, n. 55). Nonostante le difficoltà, giustamente notate dalla Vertova, nell’attribuire la Salita al Calvario a Bernardino Licinio a causa della «mancanza di “storie” […] liciniane […] che documentino il suo stile narrativo e fungano da termine di paragone» (1975, p. 414), se si eccettua forse il Ritorno del figliol prodigo di Bucarest, visibili elementi della composizione permettono di riconoscere la mano dell’artista. La figura femminile alla sinistra della Vergine, che piangendo volge lo sguardo verso Cristo, ricorda nel volto pieno, nelle labbra carnose e nelle gote accentuate da un leggero rossore il Busto di fanciulla bionda, eseguito nel 1524 (Vertova 1975, p. 435, n. 122; Momesso 2009, p. 57) e oggi conservato alla Ca’ d’Oro di Venezia. Inoltre, il modo usato per rendere i capelli mossi della pia donna è lo stesso con cui sono stati definiti dal pittore i riccioli rossicci del nipote con l’indice della mano sinistra alzato nel Ritratto di Arrigo Licinio e della sua famiglia della Galleria Borghese (inv. 115; Vertova 1975, pp. 429-430, n. 96; Id. 1983, p. 174, n. 41; Momesso 2009, p. 58). La fisionomia della donna bionda che sta invece all’estrema destra e soprattutto i lineamenti della Veronica permettono di accostarle alla gentildonna del ritratto dell’Accademia Carrara della seconda metà degli anni Venti (inv. 81LC00197; Vertova 1975, p 411, n. 6; Momesso 2009, p. 59), per il profilo ovale del viso, le sopracciglia finissime, la forma del naso lungo e stretto, la definizione del mento tramite l’accentuarsi dell’ombra al di sotto del collo. Oltre a ciò, alla Veronica si può affiancare la Sant’Anna della Sacra Conversazione conservata alla Galleria Borgese (inv. 171; Vertova 1975, p. 430, n. 97), con la quale condivide il medesimo velo avvolto attorno ai capelli. Passando al carceriere armato di mazza che si accanisce su Gesù, similitudini si riscontrano in questo caso nell’abbigliamento se confrontato con il soldato sulla sinistra nella Suonatrice di liuto con tre uomini in collezione privata (Vertova 1975, p. 420, n. 49): entrambi indossano lo stesso copricapo di feltro rosso, oltre alla stessa tipologia di corazza dall’alta gorgiera e dalle scarselle segmentate. Un’altra figura maschile da considerare è il trombettiere barbuto a cavallo sulla destra. Questi sembra infatti accostarsi ai musicanti che il Licinio dipinge in cima alle scale nel Ritorno del figliol prodigo al Museo nazionale d’arte della Romania (inv. 8018/52; Momesso 2009, p. 17, fig. 5), sia per la posa, in particolare se confrontato con il personaggio più a sinistra, sia ancora di più per la descrizione dei suoi lineamenti, definiti da poche pennellate. In merito a una collocazione cronologica del dipinto, se si osserva l’ampia porzione di cielo azzurro,striato da nuvole che acquistano riflessi dorati, appare come questo sia un elemento ricorrente nei lavori di Bernardino Licinio, in particolare dalla seconda metà degli anni Venti.
È visibile in ritratti quali il Busto di giovane barbuto della Collezione Cini a Venezia databile al 1528-1530 (inv. 4045; Vertova 1975, p. 436, n. 127; Momesso 2009, p. 58) o la Dama con ritratto virile del Castello Sforzesco di Milano (inv. 28) risalente al 1525-1530 (Vertova 1975, p. 425, n. 70; Momesso 2009, p. 59); così come in dipinti di soggetto religioso come la Madonna col Bambino e Santa Caterina da Alessandria di Monaco di Baviera della fine degli anni Venti (Vertova 1975, p. 426, n. 78) o il già citato Trittico della Resurrezione di Lonato, opera firmata e datata dall’artista nel 1528 (Vertova 1975, p. 421, n. 55; Momesso 2009, p. 57). Tra la fine del terzo e l’inizio del quarto decennio del Cinquecento si situano anche gli abiti dei due alabardieri nel centro della composizione. Una simile casacca è vestita infatti dall’uomo del sopracitato ritratto del Catello Sforzesco, mentre maniche a spacchi diagonali appaiono anche nel Ritratto di dama (in collezione privata a Londra; Vertova 1975, p. 413, n. 16; Momesso 2009, p. 58), opera datata 1532. Se si considerano inoltre le possibili influenze sul dipinto, risulta evidente il debito nei confronti dell’arte nordeuropea e in particolar modo dell’incisione di Martin Schongauer dell’ultimo quarto del XV secolo. La posa conferita a Cristo, piegato sotto la croce e con lo sguardo rivolto allo spettatore, l’indagine della gestualità e delle espressioni dei carcerieri che lo tormentano, i due uomini a cavallo dai particolari copricapi di foggia orientale, il gruppo delle pie donne che assistono la Vergine e persino la città di Gerusalemme sullo sfondo sono tutte citazioni più o meno puntuali dall’opera del maestro di Colmar. Del resto, questa incisione doveva essere molto conosciuta in area lombardo-veneta, come dimostrato dal suo prolungato ricordo in dipinti di uguale soggetto, tra cui quello di Vincenzo Civerchio a Travagliato datato al 1490, la tela del Cariani alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano (inv. 203) collocabile tra il 1515 e il 1525 e quella di Paolo da Caylina il Giovane nel capoluogo bresciano degli anni Trenta del Cinquecento.
Alla stampa non dovette essere insensibile neppure Jacopo Bassano (Andata al Calvario, Fitzwilliam Museum, inv. M.6, 1538-1543 circa), che si dimostrava sempre molto aggiornato sulle opere grafiche sia italiane che straniere (cfr. Brown 1999, pp. 112-113). Se, come si è visto, l’opera del Licinio sembra mostrarsi molto fedele al modello tedesco, la scelta di una composizione meno affollata e nervosa, dove la processione è divisa in gruppi ben distinti e lo svenimento della Vergine acquisisce una rilevanza assai maggiore, indicherebbero un’affinità con la tela del Bassano a Cambridge, facendo così ipotizzare una sua realizzazione non lontana cronologicamente. Tuttavia, la Salita al Calvario di Brescia va certamente considerata precedente, infatti se il dipinto del Bassano risente già della conoscenza di Raffaello, non così quello del Licinio, che ne viene influenzato nel corso degli anni Trenta del Cinquecento (Vertova 1975, p. 374). Da queste osservazioni e alla luce delle altre opere del maestro precedentemente considerate, risulta perciò plausibile suggerire una datazione della tela del Museo Diocesano di Brescia tra la seconda metà del terzo e i primi anni del quarto decennio del Cinquecento.
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Bibliografia:
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Momesso 2009
S. Momesso, Bernardino Licinio, Bergamo 2009.
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Università Cattolica del Sacro Cuore
Scuola di Specializzazione in Beni storico artistici
Laboratorio di riconoscimento delle Opere Pittoriche (Prof. S. Bruzzese Prof. M. Pavesi)
a.a. 2021-2022