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Con le parole “argenteria” e “oreficeria” si intendono tutti quegli oggetti in metallo lavorato usati nelle celebrazioni liturgiche. I metalli usati erano materiali malleabili come l’ottone e lo stagno, successivamente argentati o dorati, ma anche l’oro e l’argento, più diffusi per la loro preziosità.
La lavorazione delle lastre e lamine metalliche avveniva con varie tecniche e con diversi strumenti.
Una di esse era il rilievo: con un martello si batteva la superficie esterna della lastra su un modello di materiale duro per farvela adattare. Se si batteva invece la superficie interna, la tecnica era detta a sbalzo.
Per definire la decorazione si usavano strumenti come il cesello, un piccolo scalpello utile per lavorare anche le pietre dure. La tecnica del cesello era di fatto una martellatura che avveniva di pari passo con lo sbalzo.
Un altro utensile, il bulino, era usato sia nelle incisioni che nelle punzonature, cioè l’atto di imprimere un segno o una forma sul metallo.
Simile era lo sbalzo, col quale si batteva la parte interna: era particolarmente adatto per gli oggetti di piccole dimensioni.
Tra i manufatti si riconoscono arredi usati ancora oggi ma contraddistinti da una decorazione più vistosa, in linea con i gusti artistici e gli aspetti liturgici del passato. Fanno parte di questa tipologia oggetti come calici, croci processionali, ostensori, pissidi e turiboli.
I più iconici sono indubbiamente i calici, usati nella messa per la benedizione del vino. Il Messale Romano stabiliva che il metallo usato per la coppa fosse nobile e inossidabile, ma poteva essere dorato all’interno. Per la base del calice si potevano usare anche altre materie, più solide e decorose.
La croce processionale, detta anche astile, è usata nelle processioni ma anche durante la messa stessa, all’inizio e alla fine. Viene fissata ad un’asta e portata da un ministrante che prende il nome di crucifero. Viene generalmente realizzata a sbalzo e cesellata.
L’ostensorio è l’arredo usato nelle adorazioni eucaristiche per esporre ai fedeli l’ostia consacrata. È forgiato in oro, argento o altri metalli preziosi ed è composto da base, fusto e teca circolare generalmente decorata con una raggiera.
Il turibolo è detto anche incensiere ed è il vaso usato per bruciare i grani d’incenso. È munito di una catena che ne permette l’uso manuale dal ministrante detto “turiferario”. Ad esso si accompagna anche la navicella con dentro l’incenso, portata dal “navicelliere”. Sono entrambi oggetti di metallo che potevano venire dorati od argentati.
Altri manufatti sono ormai desueti e raccontano aspetti della Liturgia Tridentina, stabilita a metà Cinquecento dal Concilio di Trento e soppiantata dalle riforme del Concilio Vaticano II.
Il più iconico di questi arredi antiquati è senza dubbio la cartagloria. È una tabella di carta contenente il testo delle formule latine della liturgia. Era rivestita da una cornice in metallo, e a volte di madreperla. Serviva al sacerdote per ricordargli le formule da recitare durante la messa.
La sezione “Argenteria e Oreficeria” del Museo Diocesano di Brescia prende posto nelle sale un tempo occupate dalla collezione dei “Codici Miniati”. Sono provviste di molte teche contenenti anche più di dieci oggetti. In una di esse sono esposti anche dei reliquiari, alcuni dei quali fatti anche in legno, oltre che in metallo.
Come nel caso dei tessuti, anche queste argenterie ed oreficerie provengono dalle numerose parrocchie della Diocesi di Brescia. Sono state realizzate tra il XVI secolo e il Novecento per lo più da botteghe e artisti locali. Si riconoscono infatti nomi come Bartolomeo Viviani (1682-1751), Carlo Grossi (XVIII secolo) e la bottega cinquecentesca dei Della Croce.
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