Trittico di sant’Orsola
Autore: Antonio Vivarini (Murano 1418 circa-Venezia tra il 1476 e il 1484) Tempera e oro su tavola - 170x95 cm; 146x53 cm; 151x46 cm Provenienza: Brescia, Seminario Diocesano -
Le tre tavole facevano parte di un polittico più ampio che doveva comprendere almeno altre due tavole con santi, la cimasa superiore con altri santi e la predella per narrare gli episodi salienti del santo protagonista.
Il Polittico di Sant’Orsola viene ricordato nella chiesa di San Pietro in Oliveto dagli autori della letteratura artistica bresciana. Il primo è Ottavio Rossi nel 1620, che lo attribuisce a Vincenzo Foppa e non dedica particolare attenzione alla sua descrizione.
La sua commissione risale all’iniziativa dei Canonici di San Giorgio in Alga. La Congregazione, nata a Venezia alla fine del Trecento, era presente a Brescia fin dal 1437 proprio nel monastero di San Pietro.
In seguito alla soppressione napoleonica del convento, le tre tavole entrarono a far parte del patrimonio artistico del Seminario Vescovile. Ne seguirono i vari spostamenti di sede fino ad essere cedute al Museo Diocesano di Brescia.
L’assegnazione alla mano di Antonio Vivarini fu proposta per la prima volta da Giovanni Battista Cavalcaselle nel 1868 e confermata nel 1871 da Joseph Archer Crowe.
Furono Gaetano Panazza e Camillo Boselli nel 1946 a proporre una datazione del polittico tra il 1440 e il 1445. Essi notarono anche una discrepanza stilistica tra la pala centrale e le laterali e proposero una probabile collaborazione fra Antonio, suo fratello Bartolomeo e il cognato Giovanni d’Alemagna.
La tavola centrale di Sant’Orsola con le compagne martiri ispirò il Moretto intorno al 1540 per la realizzazione di due tele con lo stesso soggetto. Una fu dipinta per la chiesa di San Clemente dove si trova tuttora. La seconda, prodotta per la chiesa di Santa Maria Maddalena, oggi distrutta, è esposta nella Pinacoteca del Castello Sforzesco a Milano.
Secondo la leggenda, Sant’Orsola era la figlia del re di Britannia e si era segretamente convertita al Cristianesimo. Promessa sposa ad un principe pagano, in seguito ad una visione divina chiese al padre il permesso di aspettare tre anni o almeno fino alla conversione dello sposo al Cristianesimo.
Allo scadere del tempo, sempre su esortazione divina, la principessa compì con altre undicimila compagne vergini un pellegrinaggio fino a Roma, dove fu ricevuta dal papa.
Nel viaggio di ritorno, all’altezza di Colonia, il gruppo fu fermato da Attila che fece uccidere tutte le vergini ma risparmiò Sant’Orsola che voleva in sposa. Al di lei rifiuto, il re unno la fece trafiggere da una freccia.
Nella tavola, la santa è raffigurata al centro con la corona in testa e le vesti regali per sottolineare il suo lignaggio. Nelle mani, stringe il vessillo dell’Inghilterra.
Il decorativismo dell’aureola e della corona, le pieghe a cannelloni della veste, l’incarnato d’avorio con sfumature rosate e la leggerezza della sua figura sono gli ultimi residui dello stile tardo-gotico. Le figure pensose delle sue compagne vergini, radunate in semicerchio attorno a lei, preannunciano vagamente il passaggio del Rinascimento.
Pienamente rinascimentali sono invece le figure dei Santi Pietro e Paolo, dipinti nelle tavole laterali. Il loro vigore plastico, la composizione severa e il modellato sono efficacemente ottenuti con un forte gioco chiaroscurale e un disegno più fermo e solido.