Duomo Nuovo
Cattedrale estiva di Santa Maria Assunta
ESTERNO
Il Duomo Nuovo di Brescia sostituisce una precedente basilica paleocristiana del IV- V secolo, chiamata San Pietro de Dom.
La fabbrica della nuova chiesa inizia nel 1604 e verrà conclusa nel 1825 con la realizzazione dell’imponente cupola alta 80 metri. È la terza più grande d’Italia dopo quella di San Pietro a Roma e quella di Santa Maria del Fiore a Firenze.
La bella facciata in marmo di Botticino è a doppio ordine, scandito da semicolonne corinzie e coronata in alto da un timpano triangolare. Al suo apice cinque statue rappresentano la Madonna Assunta tra Santi.
Sopra il portale centrale si trova il Busto del cardinale Angelo Maria Querini, che lasciò in eredità a Brescia la Biblioteca Queriniana e promosse i lavori di costruzione del Duomo Nuovo dopo una lunga interruzione.
Lungo l’abside si incontrano le statue dei Santi patroni Faustino e Giovita in abiti militari. Sulla porta laterale si vede la Statua di San Giovanni Battista.
INTERNO
La pianta del Duomo Nuovo di Brescia è a croce greca con tre navate e all’incrocio dei bracci si innalza la cupola. Le pareti bianche danno un senso di sobria grandiosità.
Un fregio a girali d’acanto si snoda lungo tutta la cornice che percorre la chiesa, sorretta da alte colonne scanalate con capitello corinzio.
Nei sottarchi e nella cupola un ulteriore fregio con rosette aggiunge movimento alla muratura.
MONUMENTO A PAPA PAOLO VI
Paolo VI nacque a Concesio, paese in provincia di Brescia. venne ordinato sacerdote proprio nel Duomo Nuovo nel 1920, divenne Papa nel 1963 e morì nel 1978. È stato proclamato Beato nel 2014 da Papa Francesco.
La città di Brescia lo ricorda e lo onora da tempo. la piazza antistante le due cattedrali è intitolata a lui e nel 1984 venne eretto questo monumento di bronzo e marmo, opera dello scultore Lello Scorzelli.
L’artista ha immortalato la pensosa figura di Paolo VI nel momento dell’apertura della porta santa all’inizio dell’anno giubilare, nella notte di Natale del 1974.
Scorzelli era presente a quell’avvenimento, che impresse nella sua memoria un segno indelebile.
Perno dell’intero monumento è la solitaria figura di Paolo VI, inginocchiato sulla soglia della porta santa appena aperta. Dietro di lui vi sono lastre di ardesia non levigata che fanno spiccare la massa dorata del pontefice. La luce scivola sulle sue vesti, mentre indugia sul volto, trattato come un ritratto ed estremamente somigliante.
Il pontefice regge il bastone pastorale usato durante le cerimonie, che culmina con un crocifisso ricurvo. Questo bastone fu davvero realizzato da Lello Scorzelli per Paolo VI, che lo utilizzò durante la cerimonia conclusiva del Concilio Vaticano II nel 1965.
I due battenti bronzei della porta sono bruniti e martellati; il pomolo al centro di ogni anta descrive una scena della Vita di San Paolo.
A sinistra si osserva il Naufragio sulla costa di Malta e a destra la Folgorazione di Saulo sulla via di Damasco. In alto in posizione centrale vi è lo stemma del Papa.
La complessità compositiva e simbolica del monumento continua in basso dove è posizionato un alto zoccolo di marmo nero del Belgio che reca l’iscrizione in latino PAULUS VI PONT. MAX. BRIXIENSIS.
Accanto si ammirano otto formelle romboidali, disposte in due gruppi di quattro per lato. Raccontano otto e sono realizzate con uno stile agile e drammatico. La lettura procede da sinistra in alto e si conclude a destra in basso.
Apre la serie la Chiusura del Concilio dove due file di padri conciliari appaiono come una moltitudine in preghiera, ispirata dallo Spirito Santo.
A sinistra vi è l’Incontro con il Patriarca Athenagoras I. Le due vivaci figure del Patriarca e del Pontefice che si porgono le mani in segno di amicizia segnano un momento pastorale importante: la ripresa del dialogo tra le due Chiese separate.
A destra sono rappresentati i Mali del mondo contemporaneo: la violenza, l’indifferenza e la superbia.
In basso vi sono le encicliche scritte da Paolo VI che poggiano sulla Bibbia, fonte primaria di ispirazione. La Bibbia è modellata dallo scultore secondo un esemplare realmente presente nello studio del Papa. Sullo sfondo è inciso il testo della lettera che il pontefice inviò alle Brigate Rosse nel 1978 per chiedere la liberazione di Aldo Moro.
A questo punto il racconto prosegue con le formelle di destra, disposte nello stesso ordine di lettura.
In alto si vede il Discorso all’ONU sulla guerra e sulla pace, avvenuto nel 1965. Il personaggio mostruoso in rilievo al centro rappresenta la guerra, generatrice di morte. Ai lati sono incisi i simboli della pace: la mano benedicente del Papa a sinistra ed un ramo d’ulivo a destra.
Nella formella di sinistra vi è l’Attentato a Manila del 1970, quando il Papa fu accoltellato di striscio. Egli è rappresentato di profilo mentre benedice e alle sue spalle si addensa il male pronto a ferirlo.
A destra si racconta l’Abbandono del Triregno, cioè della tiara papale formata da tre corone, simboleggiante il triplice potere del Papa: padre dei re, rettore del mondo e vicario di Cristo. Le tre corone possono anche identificare tre aspetti della chiesa: militante, sofferente, trionfante.
Abbandonare il triregno significa rinunciare al potere umano e ai beni terreni; nella formella due mani depongono il triregno, contenitore di cose ormai corrotte, a favore della mitria, più sobria e simboleggiante il ritorno ad una più genuina azione pastorale.
Infine, in basso, è mostrata la Morte di Paolo VI, avvenuta il 6 agosto del 1978. Il Papa è raffigurato morente con la testa rivolta allo spettatore, mentre in alto si svolge la Trasfigurazione di Cristo incisa con la tecnica dello stiacciato. Il Papa contempla in estremo quella scena luminosa, che la chiesa festeggia proprio il 6 agosto, giorno della sua morte.
PALA DELL’ASSUNTA
È considerata un lavoro molto ben riuscito che mostra bravura d’invenzione e di colorito. fa parte delle opere settecentesche realizzate per l’ornamento del presbiterio ed è opera di Giacomo Zoboli.
Sicuramente l’artista si ispira all’Assunta del Moretto, presente nel Duomo Vecchio, ma usa uno schema molto più libero e dinamico. Si confronta anche con i modelli emiliani dei fratelli Carracci e con le grandiose composizioni “alla romana”.
Lungo la tela centinata dispone nella parte bassa gli apostoli e in quella alta, sorretta da angeli in volo, la Madonna. Rispetto all’Assunta del Moretto, questa spalanca le braccia ed è raffigurata in leggera torsione.
La zona più vivace è senza dubbio quella degli apostoli, ognuno colto in un diverso atteggiamento di stupore. Al centro vi è Pietro e intorno a lui il pittore sistema con simmetria e contrappunto i compagni intorno al sarcofago dove avevano adagiato e vegliato il corpo della Vergine. Giacomo Zoboli mostra pure una certa modernità “fotografica” nel taglio dei corpi degli apostoli posti a lato.
Concitazione, enfasi, affollamento di figure in torsione e colori accesi caratterizzano l’intera opera e derivano dal clima pittorico romano, nel quale Giacomo Zoboli si formò.
Grazie a lui il classicismo romano venne introdotto con tutti gli onori a Brescia. Avrà anche un altro grande interprete, Pompeo Batoni, attivo nella chiesa di Santa Maria della Pace.
Successiva alla tela è la bella soasa in marmi versicolori, realizzata su disegno di Giovan Antonio Biasio, che fu per un certo periodo sovrintendente ai lavori di costruzione del Duomo Nuovo di Brescia.
SCULTURE DEL PRESBITERIO
Lungo le pareti del presbiterio, entro due nicchie, si ammirano le statue di San Filastrio a sinistra e San Gaudenzio a destra. Furono eseguite in pietra di Botticino da Antonio Calegari su commissione del cardinal Querini.
I due vescovi rappresentati erano due importanti figure della chiesa bresciana delle origini. D’altra parte, il cardinale Querini era impegnato proprio in quegli anni nel recupero del loro profilo storico e spirituale. Oltre a Gaudenzio e Filastrio, il Querini indagò anche la storia dei vescovi Ramperto e Alemanno.
Querini desiderava che le due statue riuscissero nobili, spiritose e naturali e ritenne Antonio Calegari, che già godeva di ottima fama, l’artista adatto al suo progetto. Le statue sono firmate e datate 1739 sul basamento.
Antonio Calegari seppe infondere alle due figure una forte animazione ed un’incredibile vitalità nei volti seri e solenni. Le mani in particolare sono altamente espressive.
Filastrio con la destra regge l’ampio piviale, mosso da panneggiature cartacee debordanti, e alza la sinistra, puntando il dito con decisione. Gaudenzio invece ostenta il grande libro che contiene i suoi scritti e che il Querini stava riordinando nella prima edizione critica.
Le superfici delle statue sono mosse in un’enfasi tipica della scultura settecentesca di gusto baroccheggiante. I passaggi chiaroscurali esaltano lo svolazzo dei tessuti, i volti e le mani.
Il significato simbolico delle due statue è chiaro. Filastrio sta indicando la pala d’altare con l’Assunta e rappresenta la fede. Gaudenzio con il libro in mano rappresenta la dottrina.
ARCA DI SANT’APOLLONIO
Il vescovo Apollonio fu probabilmente sepolto nella basilica che lui stesso fece costruire ai piedi dei Ronchi e che a lui fu intitolata.
Nel 1025 le sue reliquie furono poi traslate dal vescovo Landolfo II nella cattedrale paleocristiana di San Pietro de Dom e riscoperte nel 1503. Il Collegio di Notai, che aveva in Sant’Apollonio il proprio patronato, fece predisporre a proprie spese una nuova arca in pietra bianca per accogliere il corpo santo. L’opera fu inaugurata solennemente nel 1510.
Dopo la demolizione di San Pietro de Dom il monumento fu trasferito nel Duomo Vecchio e rimontato nella nuova cattedrale nel 1674. In quell’occasione nell’arca vennero poste anche le reliquie del vescovo San Filastrio, custodite nella cripta del Duomo Vecchio.
Il complesso monumento ha alla base un paliotto ottocentesco raffigurante l’Ultima Cena. Sopra vi è una lastra commemorativa a ricordo del suo riposizionamento a fine del XVII secolo.
A questo punto vi è una striscia con festoni a encarpo, testine alate e nastri a pendaglio. Sulla cassa vi sono cinque formelle a rilievo che raffiguravano altrettanti episodi della vita di Sant’Apollonio.
Da sinistra osserviamo Sant’Apollonio che impone la veste talare ai santi Faustino e Giovita, la Predica di Sant’Apollonio alla città di Brescia, la Messa di Sant’Apollonio, Apollonio che amministra il battesimo ai santi Faustino e Giovita e la Morte di Sant’Apollonio.
L’arca è sormontata da un’edicola con al centro la solenne Figura di Apollonio in piedi e frontale, in abiti vescovili. L’edicola sorregge un fastigio con la Madonna con il Bambino a mezzo busto e due angioletti genuflessi.
Due volute laterali fanno da sostegno alle Statue di Faustino e Giovita, vestiti da soldati romani. Sotto Apollonio al centro una scritta in caratteri maiuscoli ricorda il Collegio dei Notai, che commissionò e pagò il monumento.
Non si conosce l’autore ma sono state avanzate diverse ipotesi. Si è fatto riferimento allo stile tagliente di Giovanni Antonio Amadeo, scultore e architetto lombardo, al Tamagnino e a Maffeo Olivieri.
È quasi certo che si tratti di un artista locale, dotato di un ottimo bagaglio culturale, aggiornato, in grado di usare abilmente il linguaggio del chiaroscuro con inclinazioni pittoriche, tipico della tradizione bresciana.
L’abile cultura plastica ricca di naturalezza lombarda si unisce alle intuizioni rinascimentali di Mantegna e Donatello. Gli sfondi architettonici mostrano conoscenza prospettica unita alla capacità di distribuire in maniera equilibrata i personaggi, panneggiati splendidamente e costruiti con un uso maturo del chiaroscuro.
CROCIFISSO LIGNEO
Il Crocifisso è datato 1502 ed è in legno intagliato e policromato. L’autore, Francesco Giolfino, proviene da una fiorente bottega di scultori e intagliatori attivi a Verona per cinque generazioni.
Francesco aprì una propria bottega a Brescia in contrada Santo Stefano. In città importò la sua arte, che influenzerà a lungo i nostri artisti del legno.
Il Crocifisso apparteneva all’arredo e alla decorazione della precedente cattedrale paleocristiana di San Pietro de Dom. Fu poi spostato al primo altare a destra della nuova chiesa.
L’autore mostra influssi tedeschi nei toni drammatici ed espressionistici. Ancora più forti sono le evidenze derivate dal Mantegna e dal mondo figurativo del Rinascimento, che tende a smorzare il dramma e ad accentuare la tensione del corpo. Una tensione chiara ma contenuta, che si esprime nella smorfia di dolore della bocca e che traspare nella consunzione delle guance di Gesù, facendone un’opera una grande intensità.
L’originale cromia si è conservata solo in parte. Il rosso del sangue che esce dalla ferita del costato ed il colore dei capelli e della barba sono stati ripassati in epoche successive.
Il Crocifisso è custodito sopra un fastoso altare in marmi policromi della prima metà del XVIII secolo.
Accanto all’opera di Giolfino è collocata una scultura lignea tedesca raffigurante la Dormitio Virginis.
Sopra l’altare è posta una lunetta con il Sacrificio di Isacco, dipinta da Moretto tra il 1530 ed il 1535. Un tempo era custodita nella cappella del Santissimo Sacramento in San Pietro de Dom.
In basso al centro della mensa dell’altare si trova l’urna marmorea con i resti di Sant’Anatalone, primo vescovo di Brescia.