Chiesa di San Lorenzo

ESTERNO
La tradizione fa risalire la costruzione della chiesa al V secolo per volere del vescovo Ottanziano, che si fece seppellire al suo interno. Si trovava fuori dalle mura fino all’ampliamento del XIII secolo.

Un primo rifacimento della chiesa avviene nel Quattrocento, mentre l’edificio attuale risale ai lavori voluti dal prevosto Giovan Pietro Dolfin e conclusi nel 1761. Il progetto è dell’abate Domenico Corbellini.

La facciata, realizzata tra il 1753 ed il 1757, è alta e slanciata e divisa in due ordini.

Quello inferiore, movimentato da alte colonne di ordine gigante con capitello corinzio, ha al centro il portale dalla cui sommità si affaccia la statua di San Lorenzo, attribuita a Giovanni Carra o Prospero Antichi. I putti festanti sono invece di Antonio Callegari.

L’ordine superiore culmina con un frontone triangolare. Concludono la facciata i due corpi più bassi, terminanti con una balaustra.

 

INTERNO
L’interno appare subito vasto e arioso, ottimo esempio di tardobarocco bresciano. La pianta è longitudinale con cappelle laterali, scandite da possenti colonne a capitello corinzio. Da notare lo splendore degli altari a commesso.

 

ALTARE E AFFRESCO DELLA MADONNA DELLA PROVVIDENZA

La cappella e l’altare ruotano intorno ad un affresco, che raffigura la Madonna in trono col Bambino. Esso fu casualmente ritrovato il 20 luglio del 1755, mentre si demoliva un vecchio pilastro di sostegno della parete sud. È datato tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo.

Venne staccato e collocato nella nuova grande cappella di sinistra, che assunse il nome di Cappella della Madonna della Provvidenza.

L’altare è l’unico a mostrare 14 splendide vedutine realizzate con preziosi marmi sagomati ed applicati attraverso la tecnica del commesso.

Il prevosto Giovan Pietro Dolfin, che ordinò la ristrutturazione della chiesa, era molto devoto alla divina provvidenza e considerò di buon auspicio l’inatteso ritrovamento dell’immagine mariana a cui dedicò un altare.

L’immagine sacra è incorniciata da marmi colorati, drappeggiati come fossero morbida stoffa e da un quadro sempre realizzato in marmo policromo, che viene sorretto da vivaci putti in volo, ornamenti in metallo dorato arricchiscono il tutto.

Il lavoro per questa bellissima cornice venne affidato ad Antonio Calegari nel 1757.

Antonio, il più dotato della famiglia Callegari, abilissimo nel trattare la pietra con morbidezza, simulò tessuti con stupefacente somiglianza al vero. Il volo e la torsione degli angeli possono sembrare eccessivi, ma contribuiscono a dare movimento all’insieme di questa opera chiaramente barocca.

L’altare invece riassume il meglio che l’arte della pietra seppe raggiungere nel Settecento. Esprime grandiosità ed armonia, capacità plastica e grande effetto realistico; furono qui usate le pietre più preziose a disposizione: topazio, lapislazzulo, alabastro e diaspro ed altri marmi rari, come nelle regge nobili,

Qui si sperimenta qualcosa di nuovo a Brescia: rispetto agli altari della prima metà del Settecento nei quali si componevano scene “a giardino” con fiori, girali, frutti, piccoli animali come uccellini e farfalle, nell’altare della Divina Provvidenza vengono inserite piccole architetture giocando con il colore dei marmi e sagomandoli a dovere: sono piccoli paesaggi a commesso.

L’arte del commesso marmoreo è un raffinato intarsio che usa il marmo come un pittore utilizzerebbe i colori della sua tavolozza.

Le quattordici splendide “vedutine” furono affidate a Giovanni Mariani di Milano e Giuseppe Benasaglio di Brescia. Il risultato è una rarità estremamente raffinata da scoprire guardando con attenzione il gradino sopra la mensa, dove trovano posto dieci dei piccoli paesaggi di marmo; gli altri sono collocati a lato del paliotto.

Questi geniali artisti lavorano negli anni Sessanta del Settecento, concludendo la grande tradizione bresciana della tecnica del commesso. Dopo di loro nessuno oserà eguagliare gli altari di San Lorenzo voluti dal prevosto Dolfin.

 

 

CROCIFISSIONE DI GESÙ

La pala d’altare della cappella del Crocifisso è dipinta da Pietro Ricchi, detto il Lucchese, originario di Lucca, vissuto tra il 1606 ed il 1675.

Datata intorno al 1646, l’opera si inserisce nella produzione di paesaggi notturni della pittura lombarda del Seicento, mostrando il nero della notte con una certa esasperazione.

Ma non appena l’occhio si abitua al fondo nero, si colgono particolari che emergono, illuminati da colate di luce: i due teschi ai piedi della croce e la cavalcata dei notabili, aguzzini e soldati a sinistra in secondo piano, resi visibili dalla luce infuocata di un improbabile tramonto. Tra la croce e questo gruppo, infossata in una valle sta la città di Gerusalemme.

L’occhio dello spettatore è senza dubbio catturato dal corpo di Gesù appeso alla croce, mezzo in luce e mezzo in ombra.

Contrasti di colore violenti rendono doloroso e allo stesso tempo ricco di dignità questo Gesù, la sua aureola irradia un chiarore diffuso che stacca il suo profilo dal buio e ci fa vedere il capo tragicamente reclinato.

Del pittore si sa che lasciò giovanissimo la natia Lucca e che ebbe diversi maestri. Soggiornò anche a Roma ed in Francia; risiedette poi a Milano, Brescia, sul Garda, in Trentino, a Padova, a Venezia ed infine a Udine, dove morì.

Mostra una formazione tardomanierista, un periodo anticlassico, un gusto naturalistico, quindi fu un artista decisamente vario e multiforme.

 

MARTIRIO DI SAN LORENZO

Un presunto incendio avvenuto nel XVIII secolo distrusse il patrimonio pittorico conservato in San Lorenzo fino a quel momento.

Lattanzio Gambara qui aveva dipinto il presbiterio, la cupola e la pala d’altare. Secondo la tradizione, proprio mentre era al lavoro in San Lorenzo, Gambara cadde da un ponteggio e morì pochi giorni dopo.

Il canonino Camillo Averoldi, preposto della chiesa, gli aveva commissionato i primi lavori relativi al presbiterio, saldando il pagamento nel 1562.

Sull’arco trionfale, cioè sull’arco che divide l’area destinata ai fedeli da quella presidiata dal clero, era dipinto Cristo fra angeli musicanti, con due figure di profeti in alto e Giona e Caino che uccide Abele in basso.

Lungo le pareti del presbiterio erano raffigurati due episodi della vita di san Lorenzo: a sinistra il tiranno Valeriano, che gli chiede i tesori della chiesa e a destra il Santo che distribuisce quel tesoro ai poveri. Gambara è capace di raccontare queste scene piene di figure con idee geniali.

Gambara durante la sua vita dipinse moltissimo ed era amato ed apprezzato dai suoi contemporanei, tuttavia oggi conserviamo poco del suo lavoro a causa di incendi, incidenti, incuria e devastazioni: ironia della sorte.

Dietro l’altar maggiore avremmo visto altre due scene, tra le quali accanto a Papa Sisto II e San Lorenzo il pittore si autoritrasse. Questo preziosissimo autoritratto fu staccato, riportato su tela e posto nella collezione della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.

Nel proprio ritratto Lattanzio indossa gli abiti tipici di un gentiluomo della corte pontificia, nero, di velluto con ricami d’oro.

Sempre nel 1562 Camillo Averoldi ordina a Gambara di terminare la pala d’altare iniziata dal Romanino, ma mai finita a causa della morte di quest’ultimo. Essa raffigurava il Martirio di San Lorenzo.

La bella pala cinquecentesca, che ornava la parete del presbiterio, era la prima cosa che i fedeli vedevano entrando in chiesa, per questo motivo è data tanta importanza alle pale d’altar maggiore.

La pala era anche l’unica cosa che i fedeli vedevano bene durante la funzione religiosa. Secondo le regole di allora, il prete dava loro le spalle e celebrava messa sull’altare. Le cose cambieranno solo dopo il Concilio Vaticano II nel Novecento.

La pala venne conservata in chiesa fino al 1760, poi fu spostata o era già stata rimossa per far posto ad una nuova opera. La pala nata dalle mani sapienti di Romanino e Gambara tra fine XVIII ed inizio XIX venne venduta, portata in Inghilterra e da quel momento se ne persero le tracce.

Giambettino Cignaroli venne incaricato nel 1755 di realizzare una nuova più ampia opera per sostituire la precedente. A Lorenzo Palazzi e Giovanni Ogna, artefici dello splendido tabernacolo dell’altar maggiore fu contemporaneamente dato il compito di realizzare l’ancona, cioè la cornice architettonica della pala, che è in marmo di Serravezza. Nel 1758 si provvide a porla sul muro.

La tela del Cignaroli è ad olio e centinata, cioè sormontata da un semicerchio.

Cignaroli fu un pittore apprezzato a Verona,a Venezia e a Brescia. Pur avendo contatti con l’estrosa arte del Tiepolo, mantiene una certa classicità, dovuta all’orientamento di Antonio Balestra, collega che ammirò molto. Strinse amicizie con i migliori pittori, che in quel momento risiedevano a Verona.

Amava in particolare la tecnica a olio, perché rende i chiari molto morbidi, adatti a rendere l’incarnato della pelle e gli scuri risultano profondi, tanto da far uscire fuori le figure dal quadro. Nelle sue opere ricercava un panneggiare morbido e la varietà delle azioni delle varie figure, che dovevano risultare naturali. Odiava le figure che non facessero nulla e che erano poste nel dipinto solo per occupare i vuoti. Infine, evitava le linee parallele nella costruzione dell’immagine.

Nel suo San Lorenzo di Brescia i colori sono belli e brillanti. La composizione obliqua crea movimento e vivacità, pur nel rispetto devoto di fronte al doloroso martirio del Santo, posto su una graticola, sotto la quale l’uomo di schiena soffia aria per alimentare il fuoco.

Poiché venne arso vivo sopra una graticola, è considerato patrono di cuochi e pompieri. Il suo colorito, quasi di porcellana.

Lorenzo è al centro di una diagonale, che parte in alto a sinistra, dove un gruppo di tre uomini osserva la scena. Uno indica la statua di una divinità pagana per convincere il Santo ad abiurare in extremis la sua scomoda fede cristiana.

Lorenzo, doloroso e sbilanciato nella sua posa instabile, è trattenuto da uno dei due uomini alle sue spalle e guarda in alto, dove degli angioletti calano dalle nuvole per portargli la corona del martirio.

La diagonale termina in baso a destra con un gruppetto di altre tre persone: un bambino, una donna ed un anziano, straziati da quel che accade, anche se in realtà non stanno guardando Lorenzo.

Accanto a loro sulla sinistra vi è un elegante brano di natura morta: un’anfora, un piatto a specchio e delle rose posate sulla gradinata alla cui sommità ritroviamo il martirio di San Lorenzo.

I quadri del Cignaroli piacciono anche a chi sa poco di pittura, per il sapore dei colori, la grazia delle mezzetinte, la varietà degli incarnati, la tridimensionalità e la delicatezza delle figure, per le panneggiature grandiose e per l’intonazione generale dell’opera che appare fresca e vivace.