Chiesa di San Giuseppe

STORIA DEL COMPLESSO

In seguito alla grande “spianata” dei Veneziani nel 1516, alcuni conventi francescani esterni alla città furono abbattuti. Le varie comunità francescane vennero traslocate in un erigendo convento a nord di Piazza della Loggia, nella cosiddetta “Curia dei Fabii”, una zona malafamata.

La prima pietra della chiesa di San Giuseppe fu quindi posta nel 1519 alla presenza di Mattia Ugoni, vicario del vescovo di Brescia. Tra questa data ed il 1541 il convento era quasi completato, ma il terzo chiostro fu terminato nel 1610.

Nel 1797, sotto il governo della Repubblica Cisalpina, il convento di San Giuseppe fu uno dei pochi monasteri a non venire soppresso dal governo napoleonico. Nel 1810, l’Ordine dei Minori fu abolito e il complesso passò in proprietà del Demanio; la chiesa rimase invece aperta al culto.

Nel 1864, in seguito ad un Progetto di legge, la chiesa venne inserita nell’elenco di corporazioni religiose da sopprimere. Solo nel 1896, dopo una complicata lite giudiziaria tra la Diocesi di Brescia e l’Intendenza di Finanza, rimase nuovamente aperta al pubblico.

Nel 1973, il terzo chiostro passò di proprietà alla Diocesi, che volle destinarlo a sede museale. Il Museo Diocesano di Arte Sacra fu inaugurato il 23 dicembre 1978 alla presenza del vescovo Luigi Morstabilini, e nel 2010 ottenne il riconoscimento di Fondazione di Religione e di Culto dallo Stato Italiano.

 

ESTERNO

La facciata della chiesa di San Giuseppe, di stampo rinascimentale, risulta quasi schiacciata dalle altre case del quartiere. Venne progettata in un momento di transizione tra lo stile gotico ed il nuovo linguaggio rinascimentale. Fu poi rimaneggiata nel XVIII secolo.

I tre portali sono del 1549 e sono opera dello scultore Stefano Lamberti (1482-1538). Sopra quello centrale, si apre un ampio rosone.

Sulla sommità della facciata svettano dei pinnacoli a lanterna in cotto, tipici della tradizione gotica lombarda. Il campanile in pietra di medolo risale alla fine del XVI secolo.

 

INTERNO
La chiesa di San Giuseppe è incredibilmente ampia. L’interno è diviso in tre navate senza transetto e con dieci cappelle per lato, chiuse da cancellate in ferro. L’ultima cappella della navata destra, adibita a cappella della famiglia Avogadro, è stata rimossa nel 1954 per la costruzione dell’ingresso laterale.

La navata centrale, più alta delle laterali, è coperta da una volta a botte decorata da un motivo geometrico a riquadri tipicamente rinascimentale. Per la sua esecuzione è stata proposta la mano di Stefano Rizzi, maestro del Romanino, con la collaborazione di Giovanni Antonio dei Fedeli. Le navate laterali sono invece coperte da volte a crociera gotiche, con i costoloni e le chiavi di volta sottolineati dalla decorazione.

Il presbiterio è molto profondo e sopraelevato, poichè sotto vi passava un vicolo privato, oggi non più praticabile. Sotto di esso si apre la cripta, definita da tre arcate a colonne con capitelli di reimpiego. Gli affreschi, opera di Sante Cattaneo (1739-1819) raffigurano i santi Rocco e Ursicino, vescovo di Brescia le cui ossa sono conservate sotto l’altare della cripta.

La chiesa di San Giuseppe divenne la “Chiesa dei Paratici”, cioè delle corporazioni di mercanti e artigiani che lavoravano nel vicino quartiere del Carmine. Varie corporazioni ottennero nel corso del tempo la dedicazione degli altari al proprio santo patrono ed in alcuni casi anche la possibilità di esser seppelliti di fronte ad esso. È inoltre considerata la principale chiesa cimiteriale di Brescia.

Dal 1979 si avviò un restauro che riportò a fioritura le antiche decorazioni a fresco della volta centrale e di quelle laterali, dei rosoni, dei sottarchi e degli estradossi.

 

CRISTO PANTOCRATORE

Questo spettacolare affresco, riportato alla luce in anni recenti, è un’immagine cinquecentesca attribuita a Stefano Rizzi, maestro del Romanino.

Si tratta di una fusione di diverse iconografie derivate da periodi precedenti. Il Cristo in mandorla rappresenta il Pantocratore, cioè colui che crea: solitamente raffigurato a mezzo busto, qui compare a figura intera, perché fuso con l’iconografia del Cristo apocalittico, cioè colui che giudica.

Sotto di lui compare la città di Brescia, vista attraverso la simbologia della città ideale e l’allegoria del buon governo.

Cristo rappresenta così la soglia e veglia sopra una città pacificata e organizzata prospetticamente. Si possono riconoscere edifici ancora esistenti: la torre della Pallata, la chiesa del Carmine, il Broletto, il Duomo Vecchio con la sua torre oggi non più esistente, il castello.

 

LA VERGINE IMMACOLATA CON I SANTI GIUSEPPE, ROCCO, FRANCESCO E CHIARA

L’opera di Giovanni Antonio Cappello (1669-1741) è datata al 1719 e faceva parte di un ciclo di teleri posti a decorare il profondo coro della chiesa di San Giuseppe.

Sembra quasi sperduta nella vastità del coro, ma un tempo era contestualizzata da altri quadroni perduti, sempre realizzati dal Cappello. Vi erano raffigurati il Paradiso spalancato alle anime del Purgatorio, il Giudizio Finale, Gesù in preghiera nell’orto, la Flagellazione, l’Incoronazione di spine e la Salita al Calvario.

La pala d’altare mostra la Madonna Immacolata in preghiera al centro, sostenuta da una coltre di nuvole mentre viene accolta nella gloria da Dio e dallo Spirito Santo. Ai suoi piedi, che schiacciano il serpente, compare la falce di luna e sul suo capo una corona di stelle. Una miriade di angeli teatralmente disposti intorno a lei esprimono la loro gioia in pose variegate.

In basso vi sono quattro santi disposti a semicerchio: da sinistra, San RoccoSan Giuseppe, San Francesco d’Assisi e Santa Chiara. Dietro di loro, si apre il coro di frati e monache francescane.

Le tonalità del dipinto tendono al giallo soffuso, senza toni squillanti. I volti tondi delle figure femminili sono tipici del linguaggio aulico e classico che Giovanni Antonio Cappello apprese nella sua formazione a Bologna e a Roma. Dotato di fantasia e abile nell’affresco, dipinse per i frati di San Giuseppe anche le lunette del chiostro minore, quattro episodi del Ciclo di San Giuseppe (conservato nel Museo Diocesano di Brescia) e le Stazioni per la Via Crucis.

 

ORGANO ANTEGNATI

Questo splendido strumento musicale è opera di Graziadio Antegnati (tra il 1523 e il 1525-entro il 1590) e del figlio Costanzo Antegnati (1549-1624) che l’hanno realizzato nel 1581.

L’Organo Antegnati fu commissionato dalla Compagnia del Sacro Triduo, sostenitrice delle manifestazioni devozionali in suffragio dei defunti. Restaurato nel 1955, ha una tastiera con 58 tasti, 24 pedali e viene suonato ancora oggi per concerti ed eventi.

La famiglia Antegnati era di nobili origini e proveniente dal paese di Antegnate, nel contado bergamasco. È documentata a Brescia come famiglia di organari già nel XV secolo e fu attiva fino all’estinzione nel 1710. La loro bottega si trovava in Contrada delle Cossere, che già dal Seicento prese il nome di Contrada degli Antegnati.

Sul piano tecnico, Graziadio Antegnati è considerato il più abile organaro della famiglia. Fu organista del Duomo di Brescia dal 1584 al 1619 e scrittore dell’Arte Organatica, che fornisce notizie storiche e tecniche sull’arte organaria nord-italiana. Vi sono anche catalogati tutti gli organi fabbricati dalla famiglia, sia in città che fuori.

Graziadio fu sepolto con il figlio Costanzo e altri membri della famiglia Antegnati nella seconda cappella di sinistra della chiesa. L’iscrizione reca un simbolo piuttosto abraso sopra il nome: forse si tratta di un organo.

Tra le altri personalità musicali sepolte nella chiesa di San Giuseppe, il più celebre è il violinista e liutaio Gasparo Bertolotti da Salò (1540-1509). SI suppone che sia sepolto davanti alla cappella di San Giuseppe, patrono degli artigiani, ma l’ubicazione della sua tomba è tuttora ignota.

Nella navata centrale, davanti alla scalinata che porta al presbiterio, c’è il sepolcro di Benedetto Giacomo Marcello (1686-1739). Fu camerlengo di Brescia (cioè intendente di finanza), ma anche un celebratissimo compositore di musica sacra, definito “Principe della musica”. Morì il 25 luglio del 1739 ed è ricordato anche con una lapide esterna alla chiesa.

 

ELEMOSINA DI SAN GUGLIELMO

È la pala del “Paratico dei Fornai” e opera di Francesco Savanni (1723-1772), allievo del bresciano Antonio Paglia (1680-1747) e del bolognese Francesco Monti (1685-1768). Datata al 1753, si tratta di un’opera complessa e ricca di figure che ascendono da terra al cielo.

Al centro si trova San Guglielmo che offre del pane ad un mendicante: tra di loro vi è un giovanissimo garzoncello, simile ad un morbido putto, che regge un paniere colmo di pane.

Dietro il Santo, la Carità spirituale si mostra nell’atto di battezzare un uomo di colore da parte di un francescano: potrebbe trattarsi di Francesco Solano, missionario ed evangelizzatore in Sud America. Sempre dietro di lui si dispiega una schiera di Santi e Sante dell’Ordine francescano che guardano in adorazione il cielo, dove stanno Dio Padre, la Madonna, Sant’Anna e la Colomba dello Spirito Santo.

Tra questi santi, si riconoscono Bernardino da Siena con la luce sul capo e San Ludovico di Tolosa in abiti pontificali. Tra le monache si riconosce Sant’Elisabetta d’Ungheria, protettrice delle Terziarie, con una corona regale in testa.

La tela è fantasiosa e piacevole, anche se la critica contesta una mancanza di profondità. D’altronde, Francesco Savanni si era dovuta confrontare con la necessità di inserire molte figure, volute dalla committenza, in uno spazio piccolo. Gli stessi abiti dei santi francescani imponevano una gamma cromatica limitata, alla quale il Savanni cercò di ovviare inserendo varie sfumature.

 

CARITÀ DI SAN LUCIO

La tela Carità di San Lucio è opera di Francesco Paglia (1636-1714), che fu anche letterato e scrittore del Giardino della Pittura, una guida erudita al patrimonio artistico bresciano. Fu commissionata dal “Paratico dei Formaggiai”, che ottenne questo altare nel 1675.

Francesco Paglia, maestro del chiaroscuro, mostra un San Lucio ben modellato in abiti modesti da lavoro mentre offre del cibo a due poveri. Sulla sinistra raffigura due figure femminili malinconiche, forse le Sante Caterina e Lucia, prime destinatarie della cappella.

L’elegante grazia e la classicità delle figure derivano dai modi del maestro di Francesco, il famoso Guercino (1591-1666). L’artista vi aggiunge però il suo personale studio degli effetti luministici, con atmosfere cupe e improvvisi guizzi di luce.

Nel pavimento davanti alla cappella, sulla sinistra, una lapide funeraria ricorda i signori Venturini. Sono una coppia di orefici che ottennero il permesso di deviare l’acqua di una fontana del convento nella loro bottega in Corso degli Orefici, troncone dell’attuale Corso Mameli.

 

PALA DI SAN GIUSEPPE

La tela raffigura la Madonna col Bambino e i santi Giuseppe, Rocco e Sebastiano. È opera di Luca Mombello (1518-1588), importante allievo del Moretto (1498-1554). È firmata e datata 1580 su un cartiglio posto sulla sinistra.

La Madonna, seduta sulla nuvola, guarda in basso ai santi Sebastiano, trafitto dalle frecce, e Giuseppe, patrono dei falegnami e artigiani. Al centro sta San Rocco assistito da un angelo. Il suo volto potrebbe essere un ritratto del committente, un certo Ganassoni guarito da una piaga per intervento di San Giuseppe, che infatti volge lo sguardo a San Rocco. La tomba di questo committente si trova davanti alla settima cappella di destra della chiesa di San Giuseppe.

Tra la cappella di San Giuseppe e la successiva vi è la pietra tombale degli iscritti alla Scuola di San Giuseppe, una delle varie confraternite religiose facenti capo alla chiesa.

 

MADONNA CON IL BAMBINO E I SANTI APOLLONIO, APOLLONIA, CATERINA E LUCIA

L’opera fu commissionata dai “Ragazzi devoti di Sant’Apollonia” per sostituire una pala omonima, forse realizzata dal Moretto (1498-1554). Per la nuova tela – chiamata anche “Pala delle Sante” per la presenza delle Sante Lucia e Caterina – fu chiamato Pietro Scalvini (1718-1792), artista dotato di buon gusto e grande fantasia, che la realizzò nel 1761.

Sant’Apollonia è la bella figura femminile al centro riccamente vestita che volge lo sguardo al pubblico. La possiamo riconoscere grazie alla tenaglia con il dente che tiene nella mano destra, simbolo del suo martirio. A sinistra stanno Santa Lucia, raffigurata di profilo con gli occhi in mano, e Caterina d’Alessandria con la ruota dentata.

Completano la scena due angioletti che sembrano farsi i dispetti mentre reggono tra mani corone di fiori, la palma del martirio ed un giglio, simbolo di purezza. In alto vi sono la Madonna con il Bambino sulle ginocchia e Sant’Apollonio a sinistra, in atteggiamento adorante.

Tutte le figure sono delicate e dolci come le espressioni dei volti. Colori chiari, atmosfera briosa e un certo gusto scenografico dovuto alla diagonale leggermente ondeggiante lungo la quale si dispongono le sante rendono questa tela ben riuscita ed apprezzata. Sul cartiglio in basso a destra sono visibili la data e la firma dell’autore.