Fin dal momento della sua nascita, il Museo Diocesano di Brescia ha avuto il compito di garantire la tutela e la custodia delle opere d’arte della Diocesi la cui conservazione era resa precaria dalla collocazione in edifici ecclesiastici chiusi al culto, fatiscenti o insicuri. La sezione Quadri e Dipinti è sicuramente la più ricca e imponente di tutto il Museo Diocesano di Brescia. Contiene un centinaio di opere proveniente dalle chiese e collezioni private di tutto il territorio della Diocesi di Brescia. Sono distinte principalmente tra tavole e tele dipinte ad olio o a tempera e variano tra pale d’altare, opere private, ex-voto, bozzetti e altre tipologie. Si datano da pochi esemplari del Quattrocento ad alcuni dell’Ottocento; maggiori sono invece gli esemplari che vanno dal Cinquecento al Settecento. L’esposizione dei Quadri e dei Dipinti del Museo Diocesano di Brescia si dispone nei tre corridoi e relative sale laterali non adibite ad altre sezioni. Ogni zona è organizzata secondo dei principi tematici molto precisi e puntuali, pur non mancando alcune variazioni di tema. La prima galleria e le relative sale laterali espongono opere pittoriche del Settecento bresciano, con qualche presenza del Seicento. Il Settecento bresciano si caratterizza per un’ondata di novità nei campi dell’arte. Rispetto al secolo precedente, soprattutto la pittura denota un’ispirazione a forme e repertori più dinamici provenienti da più fronti esterni all’ambiente bresciano. L’influenza più forte ed evidente è sicuramente il colorismo veneziano, stante la dipendenza politica di Brescia dalla Serenissima Repubblica di Venezia. A questa però si mescola armoniosamente il classicismo accademico delle scuole emiliane e romane, introdotte dal più grande mecenate di quel periodo: il cardinale e vescovo di Brescia Angelo Maria Querini. È così che confluiscono in città artisti e stili che, seppur forestieri, influenzeranno e condizioneranno non poco gli artisti locali. Si tratta di nomi quali Antonio Balestra, Andrea Celesti, Francesco Monti e Giovanni Battista Pittoni. Il secondo corridoio del Museo Diocesano di Brescia è dedicato ai Tessuti Liturgici, ma non manca di esporre strappi di affreschi dei secoli XV e XVI e piccole opere di devozione privata. Accanto al corridoio si trova la Sala Grande, vero ricettacolo di grandi capolavori. Unico nel suo genere è il Polittico di Sant’Orsola, unica testimonianza storica del passaggio tra il Tardo-Gotico e il Rinascimento. Le altre meraviglie sono opere di maestri indiscussi del Rinascimento Bresciano quali il Moretto, il Romanino e lo scultore Maffeo Olivieri. Il Rinascimento Bresciano, declinazione dell’arte rinascimentale italiana, è sicuramente la stagione più fortunata dell’arte locale. Grazie alla sua posizione satellitare tra Milano e Venezia, Brescia ha potuto godere dell’influenza dei più grandi artisti attivi in quelle regioni, da Bramante e Leonardo, a Giorgione e Tiziano, con echi degli stili di Michelangelo e Raffaello. Il Rinascimento Bresciano trova i suoi veri albori in Vincenzo Foppa e nel suo personale studio della luce che indaga scientificamente ogni aspetto della realtà. La sua attività sarà d’ispirazione per tutta una generazione di artisti quali Floriano Ferramola, Vincenzo Civerchio e Paolo da Caylina il Giovane. In essi, la matrice foppesca troverà un’impostazione più moderata e aperta verso altre influenze sia umbro-marchigiane che nordiche. Moretto, Romanino e Giovanni Gerolamo Savoldo sono invece considerati appieno i veri maestri del Rinascimento Bresciano. I loro stili trovano piena affermazione per tutta la stagione cinquecentesca. Il Moretto possiede la nomea di “Raffaello bresciano” per le sue composizioni e figure aggraziate e composte. Il suo stile, infatti, si evolve dalle opere giovanili di matrice giorgionesca ai dipinti maturi di stampo più manieristico. Il Romanino si distingue per la sua vena anticlassica, desunta dall’arte nordica, milanese e cremonese, che si manterrà costante per tutta la sua vita. Non mancano però nelle sue opere il colorismo giorgionesco e la monumentalità tizianesca assorbiti nel suo soggiorno a Venezia nei primi anni del XVI secolo. Il Savoldo è il più forestiero dei tre campioni rinascimentali, poiché la sua attività si registra soprattutto a Venezia. È lì infatti che si lascia influenzare da Giorgione e Tiziano, rimanendo però sempre fedele alla matrice naturalistica tipicamente lombarda. I suoi bellissimi notturni saranno fondamentali punti di partenza per la formazione dello stesso Caravaggio. L’ultima galleria contiene i quadri e dipinti datati dal Cinquecento fino alla prima metà del Seicento. Si trovano ancora capolavori del Moretto e del Romanino, specialmente nel corridoio, mentre le salette laterali sono dedicate ai lavori della bottega morettesca. La presenza di lavori del Seicento bresciano è però fondamentale per lanciare uno sguardo al periodo artistico successivo alla fase matura del Rinascimento locale. Si nota infatti in queste opere una chiara continuazione della tradizione manieristica veneta e del classicismo emiliano, grazie all’influenza di personalità come il Tintoretto, il Veronese e i fratelli Carracci. Gli artisti tendono infatti ad ancorarsi alla tradizione precedente, piuttosto che aprirsi ai nuovi linguaggi barocchi nascenti nelle altre parti d’Italia.

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